Ho capito che non potevo farcela da sola
Da un po’ di tempo mi sveglio senza un vero motivo per alzarmi. Apro gli occhi e il soffitto è sempre lo stesso, bianco, immobile, quasi opprimente. Mi dico che dovrei fare colazione, sistemare casa, rispondere a qualche messaggio… ma resto ferma, come se avessi addosso un peso che non si lascia scrollare via.
Ogni tanto sorrido, per non far preoccupare gli altri, ma dentro è tutto spento. È come camminare con le scarpe piene di sabbia: ogni passo costa troppo. Questa è la depressione?
Ieri è passato mio fratello. Non ha detto granché, ha solo guardato in giro: le tazze accumulate, i vestiti lasciati sulla sedia, il mio viso che cercava di mascherare la stanchezza. Mi ha messo una mano sulla spalla e, quasi sottovoce, ha detto:
«Non puoi farcela da sola. Forse è il momento di farti aiutare da qualcuno che sappia ascoltarti davvero.»
Quelle parole mi sono rimaste dentro. Non come un rimprovero, ma come un sollievo. Ho capito che non devo resistere a tutti i costi, che non è una sconfitta chiedere aiuto. Così, con un po’ di tremito alle dita, ho preso il telefono e ho cercato: “Appuntamento psicoterapeuta”
in figura Edward Hopper | Room in Brooklyn, 1932




