Lo osservo mentre scorre lo schermo del cellulare con il pollice, come ipnotizzato. Il viso illuminato dalla luce fredda, gli occhi fissi su qualcosa che cambia troppo velocemente perché io possa capirlo. Video, immagini, forse messaggi. Ogni tanto sospira, poi chiude tutto di colpo e blocca lo schermo, come se si fosse improvvisamente stancato. Ma dopo pochi secondi lo riaccende e ricomincia.

Mi siedo accanto a lui sul divano. “Cosa guardi?”

“Niente.”

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Ogni mattina apro gli occhi e mi aspetto di vederla comparire sulla soglia della mia stanza, come faceva sempre. Il silenzio è un vuoto che mi schiaccia il petto, un’assenza che mi segue ovunque, come un’ombra. Gli amici parlano, ridono, e io sorrido per non sembrare fuori posto, ma dentro sento solo una nebbia densa. Le notti sono ancora più pesanti; i ricordi si aggrovigliano e il sonno diventa un lusso che non mi concedo più.

Cerco di riempire le ore con mille attività, ma nulla sembra bastare. È come se fossi intrappolata in una stanza senza porte, con i muri che si avvicinano sempre di più. I suoi oggetti sono ancora lì, al loro posto, come se il tempo si fosse fermato, ma il mondo intorno continua a muoversi, incurante del mio dolore.

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Andrea sa esattamente cosa fare. Lo sa sempre. Gli altri sembrano impantanati nelle loro insicurezze, ma lui no. Ha imparato presto che nella vita contano la determinazione, il controllo, la capacità di adattarsi senza farsi coinvolgere troppo.

Eppure, ogni tanto, qualcosa si inceppa.

Quella sera, a cena con amici, ascolta le loro storie, ride nei momenti giusti, interviene con battute brillanti. Tutto fila liscio, finché qualcuno non gli chiede: “E tu come stai?”

Un attimo di vuoto. Una frazione di secondo in cui non trova la risposta. Non perché non voglia dirlo, ma perché davvero non lo sa.

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Oggi Luca si è svegliato con la sensazione di non essere del tutto reale. Si guarda le mani, muove le dita: ci sono, eppure sembrano distanti, come se appartenessero a qualcun altro. Il mondo intorno ha contorni incerti, come un dipinto su cui qualcuno ha passato le dita per sfumarne i dettagli.

In metropolitana, le voci attorno a lui sono un brusio confuso. Qualcuno ride, e per un istante è convinto che ridano di lui. Si volta di scatto, cercando lo sguardo di chi lo ha deriso, ma nessuno sembra accorgersi della sua presenza. Si sente contemporaneamente invisibile e troppo esposto, fragile come un vetro sul punto di incrinarsi. Continua a leggere

Il mio approccio psicoterapeutico fa riferimento alla psicoanalisi e al concetto di inconscio di Sigmund Freud.

Tra le molteplici teorie che hanno ampliato questo modello, ho adottato quello di matrice neokleiniana delle teorie della relazione d’oggetto, in particolare gli sviluppi di Wilfred R. Bion.

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